Questo è il primo appuntamento con “Come si diventa uno sceneggiatore”, un progetto che consiste in varie interviste a numerosi autori del fumetto italiano per comprendere cos’è e come si diventa un fumettista professionista.
Il primo ospite è Federico Rossi Edrighi, sceneggiatore e disegnatore. Autore di Harpun (insieme a Giovanni Masi), uno dei primi webcomic di nuova generazione, della graphic novel La Notte del Presepe Vivente (con Davide La Rosa) pubblicata dalla Star Comics e apparso con la storia “Il Vestito del Demone” sull’ultimo Dylan Dog Color Fest.
Allora, partiamo sottolineando che sei un autore completo (storia e disegni), quindi ti chiedo : oggi sei intervistato in veste di sceneggiatore, ma in quale ruolo ti senti più a tuo agio, in questo o in quello di disegnatore?
Dunque, forse è presto per dirlo perché ho ancora scritto troppo poco (i testi di Harpun sono di Giovanni Masi, e quelli de La Notte del Presepe Vivente di Davide La Rosa!), ma attualmente mi trovo meglio a scrivere che a disegnare. Giacché quello che mi è sempre piaciuto del fare fumetti è il raccontare, ho sempre dato priorità a quest’aspetto anche nell’ambito del disegno, e infatti prediligo la regia e la recitazione dei personaggi rispetto al lato più prettamente “artistico” della fase disegno. Di conseguenza, scrivere mi diverte di più e mi mette in condizione di “controllare” maggiormente la narrazione. Poi ripeto, forse è un giudizio prematuro, magari fra qualche anno darò una risposta completamente diversa alla stessa domanda.
Cosa ti piace fare di più, pensare o disegnare una storia? Ritieni più difficile la creazione della parte narrativa o di quella figurativa? Come si trova il giusto connubio tra le due?
Mi piace di più pensare alle storie, ma non saprei dire se trovo più difficile scrivere o disegnare. Entrambe le attività hanno i loro scogli, e in effetti quello che andrebbe sempre evitato se si vuole battere la strada dell’autore completo è il pensare “beh, il disegno l’ho padroneggiato, quindi la parte difficile è fatta. Ora devo solo scrivere”. Riguardo al disegno, per me la parte più difficile è quella “tecnica” (anatomie, prospettive…), mentre un aspetto che forse non è il più ostico ma uno su cui andrebbe prestata molta attenzione è cogliere il “mood” della storia e cercare di capire cosa lo sceneggiatore vuole raccontare e come, ed entrarci il più possibile in sinergia (questo ovviamente è un discorso che vale solo se si disegna storIe sceneggiate da altri, o se si è autori completi che in fase di scrittura sono soliti assumere massicce dosi di sostanze psicotrope).
Chi o che cosa è, secondo il tuo personale modo di vedere e la tua interpretazione, uno sceneggiatore?
Uhm, direi anzitutto una persona che ha qualcosa da raccontare. Ma allo stesso tempo, che abbia la determinazione di sbattersi abbastanza da renderlo un lavoro (che, come tale, ha inevitabilmente le sue parti non rosee), e anche quel tanto di ego sufficiente da farle pensare che ciò che ha da raccontare possa effettivamente interessare a qualcuno.
La motivazione principale per la quale fai il fumettista?
Perché ho quel tanto di ego sufficiente da pensare che ciò che ho da raccontare possa effettivamente interessare a qualcuno.
C’è un momento in particolare in cui hai capito che questa era la tua strada?
In realtà, e mi rendo conto che è una frase davvero stereotipata da dire, è una strada che ho sempre desiderato percorrere, ma del resto da piccoli è difficile avere un’idea lucida di quello che si vorrà effettivamente fare una volta cresciuti, e in effetti crescendo ho cercato altri lavori. Ma evidentemente le idee lucide non sono il mio forte.
Secondo te come si racconta una storia?
La risposta dipende da tantissimi fattori: se si tratta di una storia che si scrive per sé o se andrà disegnata da anni, se è per un’autoproduzione o per una casa editrice e, in caso, quale (giacché ognuna ha ovviamente i suoi paletti). Parlando in generale posso dire che una delle prime domande da porsi è se la storia in questione ha senso raccontarla. E immediatamente dopo, a chi è diretta.
Quanto di sé bisogna mettere in una storia?
Questo dipende molto dalla sensibilità dell’autore e da cosa vuole raccontare. Per quel che mi riguarda preferisco non raccontare mai nulla di autobiografico (non tanto per riservatezza, è proprio che non ho particolare interesse a raccontare di me), ma è ovvio che inserire qualcosa di sé in una storia non solo rende più facile scriverla, ma spesso è anche inevitabile.
Potresti dirci il libro, il fumetto ed il film che ti hanno maggiormente influenzato?
Il film è sicuramente Labyrinth, che magari non sarà un capolavoro imprescindibile del cinema mondiale, ma lo vidi a cinque anni e mi ha lasciato il gusto per quel tipo di immaginario fantastico ma di ambientazione contemporanea (e un certo sospetto per le calzamaglie aderenti). Riguardo ai fumetti, se dovessi scegliere un’opera nel suo insieme direi forse From Hell di Alan Moore e Eddie Campbell. Il mio modo di scrivere e disegnare è completamente diverso, ma si tratta di un fumetto che a ogni rilettura fa riflettere sul modo di raccontare per testi e immagini. Libro, Neuromante; è stato uno dei primi “non classici” che abbia letto, e all’epoca mi fulminò per il modo in cui è scritto e per la valanga di idee che ci sono dentro.
Cosa significa per te “creare qualcosa di innovativo”?
Forse mostrare qualcosa da un’angolazione dalla quale nessuno ha mai guardato prima.
Cosa è “Uno Studio in Rosso” e com’è farne parte?
Un luogo dove degli amici si riuniscono per cazzeggiare. E di conseguenza, dove i suddetti amici si rimbalzano idee su idee per produrre contenuti, siano essi individuali o di gruppo. Farne parte aiuta fra le altre cose a non isolarsi troppo, dato che quello del fumettista è un lavoro che spesso porta a farlo.
Come è stato dovere (e poter) gestire Dylan Dog e Groucho?
Arduo e interessante. E’ ovviamente difficile misurarsi con personaggi che di fatto sono ormai parte della cultura popolare italiana. Dylan Dog ha caratteristiche molto forti, sia come personaggio che come fumetto seriale, quindi l’elemento più complesso da gestire è stato reinterpretarlo cercando però di non snaturare tali caratteristiche. Anche se ammetto che quello che mi ha dato più problemi è Groucho, che funziona molto meglio quando è “parte” della storia anziché limitarsi a fare una comparsata, dire qualche battuta e uscire di scena.
Una domanda dalla community di Liberi di Leggere : Quali sono le fasi che hai attraversato da Harpun, uno dei primi webcomic di nuova generazione ad approdare su Facebook, passando per La Notte del Presepe Vivente fino ad arrivare al Color Fest? Come ed in quale modo un autore indipendente può arrivare alla Bonelli? Come hai vissuto questo percorso?
In realtà non ci sono state vere e proprie “fasi”: dopo Harpun ho continuato a lavorare nell’animazione, finché Davide La Rosa mi ha chiesto se mi interessava lavorare insieme a lui su una storia. Dato che, oltre a essere un amico, Davide è anche un ottimo sceneggiatore che stimo molto, non è che ci abbia dovuto pensare su! Quasi contemporaneamente Roberto Recchioni mi ha chiesto di sviluppare un soggetto per il Color Fest, un’occasione che ovviamente non mi ha dato adito a dilemmi o esitazioni (e fortunatamente i colori sono stati affidati a Luca Bertelè che ha valorizzato molto le mie tavole). Di conseguenza non ho avuto quasi tempo di pensare a come vivermela, mi sono messo a lavorare e basta.
Riguardo all’entrata in Bonelli, credo di essere l’ultimo a poter dare dritte in merito. In generale penso sia buona cosa produrre tanto, anzitutto per migliorare il proprio modo di fare fumetti, e poi perché più cose tue circolano (posto ovviamente che siano sufficientemente interessanti e soddisfino i criteri di una casa editrice così mastodontica), più aumentano le possibilità di essere notati.
Se potessi dare tre consigli ad un aspirante sceneggiatore, quali sarebbero?
Non sono sicuro di avere le credenziali per dare consigli ad alcunchì, ma quanto ho detto sopra a mio avviso resta valido indipendentemente se voglia o meno tentare di lavorare in Bonelli. Produrre tanto lo trovo indispensabile per evolversi, e il più delle volte la qualità deriva anche dalla quantità: penso sia più difficile migliorarsi se si passa troppo tempo su un singolo progetto, su una singola tavola o su un singolo scambio di battute.
A tal proposito, trovo sia necessario non fossilizzarsi su un’unica idea: a meno che tu non sia un genio (e ce ne sono di sicuro, eh, ma è sempre meglio lavorare pensando che tu nello specifico non faccia parte della categoria) è quasi impossibile che il primo progetto che ti viene in mente sarà un capolavoro. E anche il secondo. E il terzo. E così via. Non aver paura di buttare idee è un ottimo metodo per avere idee migliori.
Per finire, se si vuole fare il fumettista di lavoro è buona norma non dimenticare che tra i vari aspetti che ciò comporta c’è che questo è, appunto, un lavoro, e (anche) come tale va trattato. In altre parole, abbandonarsi con eccessivo trasporto al sacro fuoco dell’Arte, o alle lusinghe della propria Musa, o quello che è, ti farà probabilmente bucare le consegne, e a meno che tu non lavori in totale autoproduzione, avrai diversi collaboratori a cui dovrai poi dare spiegazioni spiacevoli.
Un caloroso ringraziamento a Federico che è stato simpaticissimo e disponibile. A presto per il prossimo appuntamento, sperando che questa rubrica possa interessare ed aiutare sia gli amanti del mondo del fumetto sia gli aspiranti sceneggiatori. Au revoir.
Focus sul nostro primo ospite :
Federico Rossi Edrighi nasce in provincia di Roma nel 1982. Dal 2006 lavora nel campo dell’animazione, occupandosi di storyboard per lungometraggi e serie tv per studi come Musicartoon e Rainbow CGI, collaborando con quest’ultima anche in qualità di assistente alla regia. Dal 2011 disegna per l’Editoriale Aurea alcuni numeri della quarta stagione di John Doe sceneggiati da Mauro Uzzeo e Roberto Recchioni. Dal 2011 pubblica on-line, con testi di Giovanni Masi, il webomic Harpun che viene stampato in edizione cartacea da GP Publishing nel 2012. Per il 2015 realizzerà un episodio per un Dylan Dog Color Fest e un volume per BAO Publishing, in entrambi i casi si occuperà di testi e disegni. Il suo cognome viene sbagliato sistematicamente dai più importanti siti di informazione del settore.
Salvatore Vivenzio